OEVRL - Patologie
Afta epizootica
L‘Afta epizootica è una malattia infettiva altamente contagiosa che colpisce gli Artyodactila domestici e selvatici. La malattia è caratterizzata da elevatissima morbilità e bassa mortalità; si manifesta con uno stato febbrile iniziale seguito da lesioni vescicolari sulla cute e sulle mucose.
EZIOLOGIA
L‘agente eziologico dell‘Afta epizootica è un RNA virus privo di envelope di 22 - 30 nm che appartiene alla famiglia Picornaviridae, genere Aphthovirus. (Foto 1,2,3). Esistono in natura sette tipi immunologici di virus aftosi: A, O, C, SAT-1, SAT-2, SAT-3, ASIA-1; nell‘ambito di questi sierotipi mediante prove immunologiche e biochimiche è possibile differenziare i sottotipi. L‘infezione con uno dei sierotipi non conferisce sostanziale immunità crociata verso gli altri.

Caratteristiche di resistenza del virusTemperaturaSi conserva a temperatura di refrigerazione e congelamento; in tamponi a pH fisiologico viene progressivamente inattivato con temperature al di sopra di 50°C (30 minuti), 60°C (10 minuti), 80°C (2 minuti), 100°C (inattivazione istantanea).pHStabile trapH 7 e 8. Inattivato rapidamente a pH 11.DisinfettantiInattivato dall‘idrossido di sodio e di potassio (2%), carbonato di sodio (4%), e dall‘acido citrico (0,2%). E‘ resistente agli iodofori, ai sali quaternari di ammonio, ipocloriti e fenolo, specialmente in presenza di materiale organico.Sopravvivenza: materiale biologicoSopravvive nei linfonodi e nel midollo osseo a pH neutro, viene distrutto nel muscolo con pH
EPIDEMIOLOGIA
Distribuzione geografica
La malattia attualmente è presente in:

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Africa, dove i tipi virologici presenti sono: A, O, SAT
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America Meridionale, tipi A e O
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Asia e Medio Oriente, dove i sierotipi virali in causa sono O, A, ASIA 1. I sierotipi A isolati negli ultimi anni in Iran (‘96 e anche in anni successivi) Malesia ed in Tailandia rappresentano varianti antigeniche, quindi i vaccini comunemente usati non garantiscono un‘adeguata copertura immunitaria. Inoltre, in Asia meridionale ed orientale, nel 1997 sono stati isolati degli stipiti virali (O) ai quali i bovini non erano recettivi, la malattia però si manifestava con la sua sintomatologia classica nei suini.
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Europa: Turchia (tipi A, O e Asia 1) .
Nel corso del 2001 sono stati segnalati focolai di Afta in: Arabia Saudita, Argentina, Azerbaijan, Eritrea, Francia, Inghilterra, Irlanda, Corea, Kazakhistan, Kyrgyzstan, Malawi, Malaysia, Mali, Mongolia, Namibia, Olanda, Qatar, Sud Africa, Swaziland, Taipei Cina, Turchia, Uganda, Uruguay, Zimbabwe.
Mentre nel 2002 sono stati registrati focolai in: Korea, Kuwait, Mongolia, Mozambico, Palestina, Paraguay, Zambia, Venezuela, Zimbabwe.
Recettività
Sono recettivi all‘Afta tutti i mammiferi appartenente all‘ordine Artiodactyla, sottordine

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Ruminantia (bovino, bufalo,ovino, caprino, cervo, capriolo, camoscio, daino, muflone, stambecco, antilope, giraffa, yak, gnu, zebù, gazzella, bisonte, alce, renna ecc.)
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Suina (maiale, cinghiale, facocero, potamocero, ilocero, ippopotamo ecc.)
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Tylopoda (cammello, dromedario, lama, alpaca, guanaco ecc.).
Modalità di diffusione
La malattia si trasmette sia per contatto diretto che indiretto; gli animali recettivi s‘infettano solitamente attraverso l‘apparato respiratorio; più raramente attraverso l‘apparato digerente. Il virus è presente ad elevata concentrazione nelle vescicole aftose; durante la viremia è presente in tutti gli organi, nelle escrezioni e nelle secrezione compresi il latte e lo sperma, che sono infettanti anche durante il periodo d‘incubazione.La diffusione del virus a distanza in genere si verifica con il trasporto di animali infetti o prodotti carnei provenienti da animali infetti.
Il virus dell‘Afta è resistente nell‘ambiente e la malattia può diffondere da un reparto all‘altro dell‘azienda anche attraverso il personale, gli attrezzi per il governo degli animali, la paglia ed il letame contaminati.
Gli stessi veicoli, utilizzati per il trasporto degli animali o dei materiali contaminati, possono costituire un mezzo di diffusione dell‘infezione.In ogni caso, quando si verifica un focolaio in un territorio indenne, l‘origine è spesso da ricondurre allo spostamento di animali; questo nonostante le norme di polizia sanitaria siano piuttosto chiare e rigorose quando riguardano l‘importazione di animali delle specie sensibili all‘afta epizootica. E‘ da ricordare che il virus può persistere a lungo in alcuni tessuti degli animali convalescenti o già completamente guariti. E‘ nota ormai da anni l‘esistenza di soggetti che, pur essendo guariti dalla malattia, antengono il virus a livello faringeo; la pericolosità effettiva di tali animali per la propagazione del contagio non è stata tuttavia chiarita. Il palato molle dei bovini e dei bufali sembra essere il tessuto dove si ha la maggiore persistenza del virus dopo la remissione della sintomatologia.Gli animali in cui il virus persiste a livello oro-faringeo per più di 28 giorni dopo l‘infezione, vengono considerati portatori.
Con "stato di portatore sano di virus aftoso" viene identificata un‘infezione persistente, asintomatica, nel corso della quale il virus viene isolato a basso titolo in modo intermittente a livello di mucosa oro-faringea. L‘infezione persistente nel bovino e nel bufalo ed in minor misura anche nell‘ovino e nel caprino può far seguito ad infezione clinicamente manifesta o sub-clinica. Lo stato di portatore può insorgere anche in animali vaccinati venuti a contatto con il virus di campo; in questi animali, anche se vaccinati, si può avere una replicazione virale limitata a livello oro-faringeo, si tratta di una infezione persistente (non latente).La condizione di portatore persistente non riguarda il suino, nel quale il virus viene isolato al massimo per 10-20 giorni dopo l‘infezione. Gli ovini ed i caprini invece possono rimanere escretori intermittenti per circa 9 mesi, i bovini fino a 3 anni ed i bufali più di 5 anni.
L‘importazione di carni fresche o congelate, latte in polvere o altri prodotti di origine animale, può costituire un fattore di rischio per un paese indenne. In condizioni normali il virus viene inattivato nelle carni dopo una corretta maturazione lattica; quando non si rispettano i tempi necessari per la frollatura o quando si macellano animali stressati il pH delle carni non scende a valori inferiori a 6, e non si ha l‘inattivazione del virus. Lo stesso inconveniente si pone per alcuni gruppi muscolari (masseteri) e per certi organi (cervello, polmoni) che addirittura vanno incontro ad alcalinizzazione.
Nel prosciutto il virus può sopravvivere anche due mesi nei linfonodi, midollo osseo e tessuto adiposo, mentre in altri tipi di salumi la macinazione consente un‘acidificazione omogenea e l‘aggiunta di lattobacilli e zuccheri porta rapidamente il pH a valori di 5,5 che sono sufficienti ad inattivare il virus.
I prodotti carnei non costituiscono un rischio quando vengono utilizzati come materie prime nella produzione di mangimi per gli animali domestici, infatti le temperature raggiunte nel corso della lavorazione per la produzione di farine di carne e di ossa sono sufficienti per l‘inattivazione del virus. I prodotti carnei potrebbero costituire un rischio quando vengono commercializzati per uso umano e poi vengono utilizzati come residui di mensa non trattati per l‘alimentazione dei suini.
Il latte crudo è un altro prodotto implicato nella trasmissione dell‘Afta, anche quando viene raccolto durante il periodo d‘incubazione . Il virus sopravvive nel latte refrigerato subito dopo la raccolta per più di 15 giorni a 4°C. Dopo la pasterizzazione il rischio di infezione è considerevolmente ridotto, in quanto le temperature raggiunte sono sufficienti ad inattivare l‘agente patogeno, si deve anche considerare il fattore di diluizione del latte infetto, quando viene aggiunto al latte di massa. In questo contesto, dovrebbe essere considerato sufficientemente prudenziale un trattamento che riduca l‘infettività virale di 5 log (100.000 volte). Tale risultato può essere raggiunto con il consueto trattamento di pasteurizzazione HTST (72 °C, 20 secondi) a pH 7.0. In genere, il trattamento termico è più efficace sul latte scremato rispetto al latte intero. Il siero di latte a 24 ore dalla cagliata è generalmente sicuro (pH >CONTINUA:  diagnosi, profilassi e riferimenti legislativi


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 01-APR-09
 

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